Potete leggere qui il testo della seconda parte della predica che non è stata completata dal vivo:
Nella seconda parte del brano, sui cui non mi soffermerò, Paolo inizia un accorato appello diretto ai Galati. Dopo aver spiegato che la fede in Cristo è sufficiente per la salvezza, che non è necessario osservare alcuna ulteriore legge o regola, che in particolare la legge mosaica non aggiunge niente alla salvezza, Paolo si rivolge ai Galati con domande dirette, invitandoli a riflettere sulla differenza tra il Vangelo che era stato loro predicato proprio da Paolo e quello che stavano combinando adesso.
L’argomento verrà sviluppato maggiormente nei versetti successivi al brano che abbiamo letto oggi, ma vorrei soffermarmi solo su un versetto, il versetto 9. Paolo dice ai Galati che proprio ora che hanno conosciuto Dio, anzi il contrario si affretta a precisare, proprio ora perché vi rivolgete di nuovo ai vecchi elementi, alle cose che vi rendevano schiavi prima? Potrebbe sembrare una situazione lontana dal nostro vissuto, e presa letteralmente lo è sul serio. Ma credo che in questo ritorno indietro dei Galati, non ci sia proprio niente di strano: i Galati non erano pazzi, erano uomini. Probabilmente avevano trovato nei giudaizzanti
arrivati in Galazia solo il pretesto per avere regole, per provare a capire Dio.
Diciamocelo, avere delle regole da seguire ci renderebbe più facile la vita, ci farebbe distinguere facilmente cosa è bene e cosa è male, renderebbe misurabile il nostro merito e quindi la ricompensa, in un pratico baratto tra il mio comportamento e la salvezza che a quel punto mi spetterebbe. La voglia dell’uomo di stabilire leggi e norme che regolassero il proprio rapporto con Dio rientra nella sua voglia di indipendenza dal Creatore, iniziata nell’Eden.
Poi arriva Cristo e scompagina tutto, solo la fede in Lui può salvare; le leggi, inclusa la legge mosaica, la Legge con la L maiuscola, non sono sufficienti per la salvezza. I Galati lo imparano e lo imparano bene, erano in maggioranza pagani e quindi non avevano alcun attaccamento particolare alla Legge mosaica, ciononostante appena arrivano due imbonitori che propongono loro due regole si lasciano trascinare.
Erano allocchi i Galati o possiamo esserlo anche noi? Siamo davvero coscienti e partecipi della libertà che abbiamo in Cristo oppure ci facciamo derubare anche solo in parte da codici etici, strutture ecclesiastiche e deontologie che distinguono i credenti “quelli veri” da quelli “un po’ meno veri”?
Non è un argomento banale, e credo che sia una tensione che accompagnerà l’umanità dei credenti fino alla fine del mondo. La libertà del credente a volte potrebbe essere un concetto vago; per rifletterci meglio pensiamo alla parabola del figliol prodigo. Nessuno dei due figli all’inizio della parabola si rivolgerebbe al padre con il termine Abba: il padre è un padrone.
Uno dei due figli lo considera un padrone, e piuttosto che rinunciare alla sua libertà preferisce scappare rinunciando a vivere da figlio, rinunciando ad avere un padre. L’altro figlio però, lo considera un padre o un padrone? Segue tutte le regole di buon comportamento, vive con i benefici di un figlio ma non ritiene di avere un padre, osserva le regole previste per un figlio solo per non far arrabbiare il padre, è schiavo delle proprie paure, non si mostra mai al padre per quello che è, eppure si comporta senza sgarrare una regola, quando gli capita l’occasione tiene a sottolineare che si comporta meglio dell’altro.
La mia preghiera quindi è per chi non ha ancora fatto una scelta definitiva, per quei figli che si sono allontanati o non si sono mai avvicinati perché ritenevano Dio un padrone, tornate con fiducia e riconoscetelo come un padre; per noi invece che quella scelta l’abbiamo fatta, che possiamo vivere e gustare la libertà che abbiamo in Cristo di rivolgerci a Dio come padre, sicuri del suo amore, liberi dal giudizio, eredi della promessa solo per grazia.